Ieri alla Camera solo due deputati del PD non hanno votato la fiducia al governo Letta, l'indipendente Mattiello e l'ormai noto alle cronache Civati che oggi in un post racconta un partito sempre più chiuso in se stesso. Da una parte la base di iscritti ed elettori dove vi è un generale dissenso rispetto al governissimo, dall'altra i dirigenti che in nome della responsabilità e della pacificazione (termine che ieri riempiva la bocca dei parlamentari almeno quanto la saliva) hanno accettato queste larghissime e vaghissime intese.
Ieri ho incontrato al supermercato un militante del PD che si rammaricava per la mia uscita dal partito e mi invitava ad attendere il congresso perché sono "loro" (non ho capito se si riferiva ai 101 sconosciuti o più in generale al gruppo dirigente) a doversene andare, non "noi", sostenendo che nei circoli non vi sono le divisioni che guastano il partito a Roma. L'ho ascoltato, ringraziato ma me ne sono andato con l'impressione che anche fra i militanti nei nostri circoli il confine fra le categorie del loro e del noi stia diventando sempre più confuso. Da quando il PD è nato la maggior parte di essi si è sempre comportato secondo la logica delle appartenenze pregresse e il partito è quello che si è voluto che fosse. E le responsabilità non hanno i capelli bianchi: i giovani democratici che oggi sono impegnati in un #occupypd permanente hanno vissuto vicende simili.
Ieri Enrico Letta ha enunciato un programma di cui questo Paese ha bisogno da vent'anni (legge sui conflitti di interesse a parte). Ma si è dato diciotto mesi per verificarne l'efficacia. Tuttavia, quali che siano i risultati, ho l'impressione che questo governo durerà di più, tutto il tempo necessario a far sì che Matteo Renzi non basti a questo PD per tornare a vincere da solo.